Sesso e alcool: esiste il silenzio assenso?
Il 7 Settembre 2017 i mass media italiani ed esteri lanciavano una notizia senza precedenti: a Firenze due carabinieri vengono accusati di aver abusato sessualmente di due ragazze americane mentre si trovavano in servizio.
La notizia, a dir poco sconcertante, ha scatenato un acceso dibattito in cui si sono contrapposti coloro che credevano fermamente alla versione delle ragazze a chi riteneva invece che avessero mentito, o comunque non potessero essere ritenute attendibili, poiché per loro stessa ammissione erano entrambe ubriache al momento dei fatti.
L’epilogo della vicenda, noto ai più, vede l’ammissione dei carabinieri del solo rapporto sessuale, mentre viene respinto con forza l’addebito di ‘stupro’ ai danni delle americane.
Ebbene, in molti forse si saranno chiesti, in maniera del tutto legittima, se e come si possa fornire la prova incontrovertibile di una violenza sessuale, in particolare di non aver manifestato (espressamente o implicitamente) il consenso alla consumazione del rapporto, quando, proprio per lo stato di ebbrezza della vittima, si possa fortemente dubitare di quella che era la sua reale volontà.
In altre parole, si tratta di capire se il mancato dissenso di quest’ultima possa equivalere ad una sorta di consenso implicito al rapporto oppure se la stessa, anche a distanza di diverso tempo, possa rivendicare di non avervi mai acconsentito e che, in ogni caso, qualora fosse stata lucida e ne avesse avuto la possibilità, avrebbe manifestato chiaramente il suo rifiuto.
Ebbene, ciò che rileva in questi casi è indubbiamente il motivo per cui non viene espressa la volontà di consumare il rapporto sessuale, ovvero bisogna comprendere se tale silenzio sia dovuto o meno proprio allo stato di ebbrezza.
Questo perché il nostro codice penale (1) ricomprende nella nozione di violenza sessuale non solo la condotta di chi con violenza o minaccia “costringa” una persona a compiere o subire atti sessuali” ma anche quella di chi si limiti ad “indurla” a compiere tali atti ”abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa”.
Peraltro, ad avviso della Corte di Cassazione (2), proprio il termine “abuso” sta a significare che il reato viene integrato, non solo quando la condizione di inferiorità sia etero determinata (si pensi ai casi di violenze commesse con l’utilizzo di “GHD” meglio nota come “droga dello stupro”) ma anche ogniqualvolta ci si approfitti del fatto che sia stata la stessa vittima ad aver assunto volontariamente le sostanze che hanno alterato la sua capacità di intendere e di volere.
Onde evitare allarmismi di sorta, occorre però precisare che non vi è alcun automatismo tra la consumazione di un rapporto tra persone che hanno fatto un uso modico o comunque non eccessivo di sostanze alcoliche e il reato di violenza sessuale, proprio perché tale reato si configura soltanto in quei casi in cui la vittima si trovi in uno stato di ebbrezza tale da non essere seriamente in grado di esprimere la propria volontà.
Avv. Andrea Ricci
(1) – Articolo 609 bis codice penale
(2) – Sentenza della Corte di Cassazione del 11.01.2017 n. 45589
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